[20.4.2014 – Da Radio Vaticana]
L’arte e la Resurrezione di Cristo trovano straordinari punti di intersezione in molti dipinti e affreschi. In questo servizio di Amedeo Lomonaco vi proponiamo un percorso iconografico attraverso le opere, in particolare, di Piero Della Francesca, di Raffaello e di Caravaggio.
La vittoria del Risorto sulla morte è celebrata da molti, grandi artisti. Tra questi, Piero della Francesca nell’affresco “Resurrezione di Cristo”, eseguito tra il 1450 e il 1463, pone al centro la figura di Gesù e, più in basso, degli uomini che dormono alla base del sepolcro. Rodolfo Papa docente di Storia presso la Pontificia Università Urbaniana spiega: “In questo sacrificio che Cristo fa sulla Croce e che porta alla vittoria sulla morte, non c’è nessuno sforzo dell’uomo; è un gesto gratuito che Dio stesso fa nei confronti dell’uomo. Quelle figure che sono lì addormentate, ricordano il racconto di Matteo in quanto le guardie vengono poste lì, perché altrimenti si sarebbe detto che era stato portato via e che quindi la Resurrezione era semplicemente un artificio fatto dai seguaci di Cristo. Ma soprattutto quelle figure, rappresentate in quel modo, dicono anche delle cose estremamente interessanti perché tra quelle ce n’è una che, in modo particolare, porta le mani agli occhi. Sono addormentate, ma forse sono lì a dire che è straordinario quello che sta accadendo; è fuori dalla portata dell’umano. Infatti il sepolcro – ed è quello il punto di vista interessante – che contiene il corpo di Cristo viene rappresentato come se fosse un sarcofago. Il punto di vista prospettico è dal basso, in modo tale che non vediamo il corpo di Cristo contenuto dal sarcofago, ma lo vediamo emergere dal sarcofago. Il fatto che ci siano due paesaggi alle spalle – uno brullo e uno rigoglioso – fa proprio capire il passaggio del tempo ma anche il passaggio spirituale, la dimensione profonda che c’è tra il momento della morte e il momento della Resurrezione, il momento del mondo devastato dal peccato e il mondo, invece, che viene riconciliato attraverso la figura di Cristo al Paradiso. L’uomo è addormentato, non fa nulla ed è lì addirittura armato contro Cristo. E Cristo salva tutti”.
Anche nel dipinto “Resurrezione” di Raffaello, eseguito tra il 1501 e il 1502, la figura di Cristo è al centro. Ma rispetto all’affresco di Piero della Francesca, il Risorto si solleva dal sepolcro e ascende al cielo:
“Il punto è esattamente questo: abbiamo una ripresa di quegli elementi pierfrancescani che vengono riorganizzati, riordinati da Raffaello che pone, però, un elemento, un altro punto di vista: Cristo non solo risorge, ma ascende al Cielo. Una Resurrezione che, non solo, allude all’ascensione al Cielo, ma addirittura al ritorno di Cristo in gloria sulle nubi nel momento finale, quello che precede il Giudizio. Quindi questo viene rappresentato come un momento unico: il momento giusto dell’incarnazione, è legato contemporaneamente anche alla Resurrezione e al tempo ultimo come se fosse ormai tutto un unico tempo.La natura è ormai completamente trasfigurata e quindi è risarcita nella condizione originaria che è quella del Paradiso”.
Quello che nella lettura iconografica di Piero Della Francesca è straordinario, diventa incredulità nel dipinto realizzato da Caravaggio tra il 1600 e il 1601. Nella scena, contraddistinta da un estremo realismo, San Tommaso è incredulo e tocca il costato di Cristo. Ancora Rodolfo Papa:
“Ma Caravaggio non è incredulo, come alcuni storici dell’arte hanno sottolineato. Quell’elemento, quella capacità di rendere toccabile quel corpo, è un punto fondamentale che va inserito nel momento culturale, storico in cui vive Caravaggio. Ci troviamo in un momento in cui si sta mettendo in pratica tutto quello che si è detto nei 1600 anni precedenti sull’utilizzo delle immagini. Le immagini hanno un compito fondamentale: non solo quello di educare, di far pregare, di dare un esempio morale, ma anche di contemplare, di vedere con gli occhi ciò che è invisibile a noi perché viviamo in un’altra epoca, in un altro tempo. E allora, il compito ultimo dell’arte non è solo quelle di vedere ma anche di farci – in qualche modo – toccare. In quel dito di Tommaso, noi abbiamo tutto il nostro sguardo, perché di fatto il corpo di Cristo – così come ci diceva Tertulliano – è il centro della nostra salvezza. E quella carne, Raffaello la dipinge in un modo, Piero della Francesca in un altro, Caravaggio confida di più sul colore e sul contrasto tra luce ed ombra. Ovviamente ogni epoca mette in risalto un elemento particolare che gli è più consono, più vicino. Ma io direi che l’elemento più proprio dell’arte cristiana è la rappresentazione dell’Emmanuele, cioè del Dio con noi, quel Dio che diventa visibile. La prospettiva nasce appositamente per questo, così come la teoria delle luci e dei colori. Le ombre e le prospettive non sono nient’altro che un’invenzione interna del cristianesimo per raccontare questo indicibile e invedibile, perché stando in un’altra epoca in un altro tempo non abbiamo l’opportunità di vederlo; ma è sempre presente, perché Cristo muore e risorge costantemente tutti i giorni”.
Le opere d’arte – ha detto Papa Francesco lo scorso 19 ottobre ricevendo un’associazione di cattolici americani e europei, mecenati dei Musei Vaticani – “danno testimonianza delle aspirazioni spirituali dell’umanità, dei sublimi misteri della fede cristiana e della ricerca di quella bellezza suprema che trova la sua origine e il suo compimento in Dio”.
Articolo rielaborato.
S.B.
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