Entro in libreria e vedo numerosi «sussidi per l’animazione liturgica». Di fronte a questi testi resto sempre un po’ perplesso. Che cosa mai ci sarà da animare nella liturgia? Se devo essere sincero, le nostre liturgie a me sembrano già fin troppo animate, nel senso che ci vedo molta umana fantasia e poco raccoglimento, una certa confusione e poca adorazione.
Il chiacchiericcio che c’è in chiesa, prima dell’inizio della celebrazione, è rivelatore. Possibile che le persone non riescano a stare in silenzio nemmeno qui? Possibile che non si riesca più a distinguere tra uno spazio e un tempo ordinari e uno spazio e un tempo sacri?
Più che sussidi per l’animazione liturgica pubblicherei sussidi per insegnare il silenzio.
Secondo un mio carissimo amico, l’idea che la liturgia debba essere «animata» nasce dal fatto che ormai anche molti cattolici ignorano che cosa sia la liturgia cattolica. Non la vivono più come il luogo, il contesto, nel quale avvicinarsi a Dio attraverso il suo Figlio, il luogo nel quale toccare Cristo mediante i sacramenti, ma come una semplice aggregazione sociale. Di qui l’enfasi posta sull’animazione. Se al centro c’è la comunità, come se la liturgia fosse funzionale all’incontrarsi della comunità stessa, allora diventa importante l’animazione. Come nelle feste dei bambini, dove ormai è d’obbligo la presenza dell’animatore.
Noi, mi dice l’amico, magari parliamo ancora di «comunione», ma la pensiamo come semplice aggregazione sociale, alla quale tutto è finalizzato: perfino la santa messa diventa l’occasione per aggregare socialmente. Questo modo di vedere la liturgia ha una conseguenza importante: poiché non è più culto, ovvero, letteralmente, coltivazione del rapporto con Dio, ma è semplicemente aggregazione, l’obiettivo numero uno diventa non escludere nessuno. Nel momento in cui la protagonista diventa l’assemblea, il fine diventa l’assemblea stessa. Dunque, più ampia è l’assemblea meglio è. Di qui l’idea che alla liturgia possano partecipare tutti, indipendentemente dal proprio stato spirituale e dalla propria fede.
In questa visione, dominata dall’idea che la liturgia sia aggregazione e che la protagonista sia l’assemblea, il male non sta nell’incapacità di rendere gloria a Dio, ma nell’escludere qualcuno. Quindi porte aperte. Ma così si dimentica che la liturgia cattolica non è un semplice ritrovarsi, in senso generico. È comunione nello Spirito Santo, comunione di battezzati. Si dimentica che all’eucaristia si arriva provenendo dal battesimo. Dice il mio amico, che è un teologo esperto: il pensiero comune sostiene che siamo tutti figli di Dio e che dunque nessuno può essere escluso dalla liturgia. Ma non tutti siamo battezzati, e la liturgia cattolica è per i battezzati, per coloro che sono in comunione nello Spirito Santo. Dire che siamo tutti figli di Dio, lasciando intendere così che siamo tutti uguali, significa negare il battesimo. Se per entrare in chiesa e partecipare alla liturgia basta essere figli di Dio, che bisogno c’è del battesimo? E se non c’è bisogno del battesimo, perché non ammettere tutti all’eucaristia, anche i non cattolici? Secondo il mio amico teologo, nel momento in cui la liturgia perde la sua connotazione divina, e diventa solo un fatto sociale, anche la comunità cristiana perde la fede nel Dio incarnato. Abbiamo, al suo posto, una generica fede in un Dio universale. Abbiamo un deismo vago. Che piace tanto al mondo ma non è cattolico. Da questo punto di vista, la crisi della fede ha un suo presupposto, forse il più rilevante, proprio nella crisi della liturgia. La liturgia ha senso nella misura in cui il cielo scende sulla terra, il divino entra nell’umano. Se questa dimensione divina è trascurata o, peggio, è negata, abbiamo una falsificazione della liturgia. Formalmente può sembrare ancora cattolica, ma sostanzialmente è falsa. Non trasmette più la fede nell’uomo Gesù Cristo che è venuto nel mondo, ma celebra l’uomo.
Il rimedio? Far rinascere il senso del sacro nei cuori. Stando al mio amico, molti fedeli, qua e là, se ne sono resi conto e stanno correndo ai ripari, così che la liturgia torni a essere azione per rendere gloria a Dio, in uno spazio e in un tempo sacri, e non sia esibizione sociale. In un’epoca come la nostra, segnata da grande confusione, occorre tornare ai fondamentali: riconoscere il sacro, distinguendolo dall’ordinario; riconoscere che la liturgia è lo spazio e il tempo nei quali Dio, e non l’uomo, ha i suoi diritti. E insegnarlo ai battezzati, fin da bambini. Più che di animazione c’è bisogno di stupore davanti al mistero del sacro. La liturgia non va animata. Semmai va servita.
Aldo Maria Valli, giornalista – vaticanista
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