Il primo significato fornito dai dizionari del termine communitas, dal quale direttamente deriva l’italiano “comunità” (ma anche lo spagnolo comunitad e il francese communauté), è quello che prende senso dall’opposizione a “proprio”.
Ciò che è “comune” inizia dove finisce ciò che è proprio. Come la propria libertà finisce dove inizia quella di un’ altro.
Da questa dualità (comune e proprio) scaturiscono i termini dualisti, ovvero “pubblico” e “privato”.
Solitamente si tende ad abbinare che “proprio” è anche “privato”, è che “comune” è pubblico.
Esite però significato della parola comunità che proviene dal termine latino munus e che sta a indicare quel tipo di dono che non è facoltativo, e che invece si dà perché si deve dare.
Communis, sarebbe dunque colui che condivide un munus, vale a dire una carica, un incarico.
La comunità è l’insieme delle persone che sono unite non sulla base di una “proprietà”, ma appunto dalla necessità di corrispondere a un dovere, dall’obbligo di ripagare un debito.
I membri di una comunità hanno in “comune” un munus, e cioè un “obbligo”, al quale sono tenuti a far fronte.
L’appartenere ad una comunità non ci conferisce qualcosa in più di ciò che, singolarmente, ciascuno di noi già aveva.
Non è dunque un “avere”, ma un “dare”, che ha per giunta il carattere di qualcosa a cui non ci si può sottrarre.
La comunità è l’insieme di persone unite non da una “proprietà”, ma da un dovere o da un debito.
E dunque non da un “più”, ma da un “meno”, da una mancanza, da un limite che si configura come un onere.
Se communis è colui che è tenuto all’espletamento di un ufficio, o alla elargizione di una grazia, al contrario im-munis è colui che è dispensato da tale obbligo, e che pertanto non è tenuto allo svolgimento di alcun munus.
Appartenere ad una comunità vuol dire riconoscersi parte di un insieme nel quale la solidarietà fra i membri è basata sul fatto che ognuno ha un munus, un incarico, un ufficio, un compito a cui deve corrispondere.
Non si tratta, dunque, di un privilegio, ma al contrario della condivisione di una condizione debitoria, anche se le forme in cui si esprime questo dovere possono essere fra loro molto diverse.
La comunità non è semplicemente una proiezione “in grande” del soggetto individuale, ma è quando l’individuo si relaziona con l’altro, rompendo la sua chiusura, superando la propria separatezza.
Tutto ciò vale per la comunità cristiana. La partecipazione non è la gloria del Risorto, ma la sofferenza e il sangue della Croce.
Prendere parte nella Comunità Pastorale, e cioè esserne membri, vuol dire tutto salvo che “prendere”. Significa piuttosto perdere qualcosa, diminuirsi, per appartenere a qualcosa di più grande.
Un fedele della Comunità Pastorale
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